giovedì 13 gennaio 2011

Aspettando l'esito del voto di Mirafiori

Ho l’impressione che sulla pelle dei poveri lavoratori FIAT, che insieme alle proprie famiglie si auspicherebbero solo una busta paga decente ed una rassicurante prospettiva di futuro, si stia giocando una storica battaglia politica.

Da una parte ovviamente Marchionne che sull’onda del prestigio che si è guadagnato oltreoceano ha deciso di far valere un enorme potere negoziale che né Valletta né Romiti ebbero mai. Si è fatto bene i conti e sa bene di poter fare a meno dell’Italia.
Non è una questione di bilancio quanto piuttosto strategica. La partita delle automobili si gioca ormai a livello planetario. La battaglia si vince in Brasile, India, Cina e Russia. E’ un mercato che non ammette più produttori locali. E per Marchionne, anche se tutti insieme decidessimo domani mattina di non acquistare più FIAT, il  30% del mercato italiano sarebbe comunque sacrificabile rispetto all’esigenza primaria di presenza globale senza cui una FIAT solo italiana finirebbe rapidamente ed inevitabilmente fagocitata.

Il secondo giocatore è un Governo che non penso affatto distratto o assente. E’ piuttosto un governo debole che coscientemente (ed irresponsabilmente) ha deciso di tenersi fuori dalla mischia per evitare di inimicarsi FIAT, Confindustria e i poteri forti e perché questo conflitto in fondo finisce per essere funzionale alla sua sopravvivenza. Divide a sinistra e sposta altrove l’attenzione dei media. E’ un governo opportunista “in tuta mimetica” che sfugge alle sue responsabilità e così guadagna settimane preziose per “consolidare” una traballante maggioranza parlamentare.
Qualsiasi altro governo responsabile, di qualsiasi colore politico, si sarebbe fatto artefice del compromesso e della mediazione, avrebbe saputo ricordare a Marchionne il peso delle proprie responsabilità in un paese che tanto ha dato a FIAT e forse avrebbe fatto di questa occasione l’opportunità di un riassetto generale del mercato del lavoro e dell’intero quadro delle  relazioni industriali e sindacali. Invece il nostro Presidente del Consiglio, nel suo principale intervento pubblico sull’argomento, si è solo limitato a riconoscere la legittimità di FIAT ad investire all’Estero.

Ci sono poi i sindacati. Da una parte quelli che, appiattiti e impauriti, hanno rinunciato del tutto a negoziare. E dall’altra FIOM che sognando un’impossibile seconda giovinezza lotta ad oltranza nella difesa dell’esistente.
E nel mezzo manca un sindacato davvero progressista che, guardando al progresso ed al futuro piuttosto che al passato, si batta per la compartecipazione degli operai agli utili aziendali, tenga assolutamente duro sui diritti di rappresentanza (che Marchionne vorrebbe limitare), sappia negoziare straordinari e pause con il maggiore beneficio economico possibile in busta paga e infine, trovato l’accordo, si ritrovi alleato dell’azienda nella battaglia di comune interesse per la produttività del lavoro e per la lotta all’assenteismo.

Non possiamo nasconderci che assolutamente legittime sono le prerogative di una azienda che è decisa ad investire in Italia, anche disponendo di varie possibili alternative, ma solo a fronte di necessarie garanzie di pieno utilizzo degli impianti e di maggiore flessibilità produttiva.
Dobbiamo saper distinguere tra queste giuste esigenze di competitività e quelle che invece sono inaccettabili restrizioni ai diritti di rappresentanza sindacale.
Dobbiamo superare la logica delle ideologie e del “muro-contro-muro”.
Solo così potremo davvero sviluppare in Italia un terreno fertile all’investimento produttivo, non solo di FIAT ma di tanti altri, ed avviare il magico circolo virtuoso dello sviluppo, dell’occupazione e del welfare sostenibile.

E guardate bene che se tutto questo fosse solo un sogno e domani mattina potessi svegliarmi  in un mondo in cui ancora esiste l’Unione Sovietica, l’Italia è ancora una portaerea strategica nel Mediterrano, la Cina, l’India ed il Brasile ancora così lontane ed irrangiugibili, non avrei nessun dubbio.  Sarei convinto assertore del NO. La FIAT sarebbe costretta a scendere a compromessi. Lo Stato ci metterebbe un bel po’ di soldi. I nostri alleati preoccupati della nostra stabilità politica farebbero un ulteriore sacrificio permettendoci di svalutare ancora un pochettino la nostra liretta ed anche i nostri imprenditori continuerebbero ad exportare tranquillamente i loro prodotti “low cost”.
E saremmo tutti più contenti e contenti.

Purtroppo non sarà così ed allora mi auguro innazitutto che quei lavoratori FIAT, che proprio in queste ore sono stati chiamati ad esprimersi, possano conservare il proprio posto di lavoro. E iniseme a loro i tanti altri dell'indotto che nemmeno possono votare.

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