domenica 31 luglio 2011

UN POST IMPOPOLARE: Viva la Politica !!!!

La Radio è compagna di viaggio nei frequenti spostamenti che mi portano in giro per l'Italia. In genere alterno l’attualità alla buona musica e solo raramente qualche programma più leggero di intrattenimento.

Stamane è stata una rapida successione di brutte notizie di politica a rovinarmi il viaggio.
Dapprima sono arrivati gli aggiornamenti sull’iter legislativo del “processo lungo” e mi ha fatto davvero rabbia pensare che gli stessi che solo qualche settimana fa pretendevano processi brevi adesso si adoperano per allungarli. Subito dopo è stato però il mio orgoglio “di sinistra” ad essere ferito dalle brutte vicende di Sesto San Giovanni che vedono pesantemente coinvolta anche la mia parte politica.
Poi si è parlato di economia ed a confermare i rischi che si addensano sul nostro futuro la notizia che le banche tedesche si alleggeriscono dei nostri titoli di stato.
Ed infine un’approfondimento su una notizia cosiddetta minore. Normalmente non ci avrei fatto nemmeno caso e magari avrei cambiato canale;  stavolta, forse colpevole la sequenza di colpi in rapida successione, non solo mi ha irritato ma mi fatto davvero incazzare: il nostro Senato, a larghissima maggioranza ha approvato una legge che disciplina (ed ovviamente limita) gli sconti sui libri. Oltre a riflettere nel merito dell'iniziativa mi domando davvero se sia questa una delle priorità e delle riforme essenziali per il nostro paese, ed infine mi chiedo a cosa davvero pensi questa nostra classe politica, sempre più lontana dalla gente ed estranea alla realtà.

E così mi sono ritrovato sorprendentemente a cavalcare anch'io l’onda della cosiddetta "Anti-Politica", quel sentimento forte e sempre più diffuso, che avanza tra la gente, stanca dei privilegi della "casta", di essere chiamata continuamente a nuovi sacrifici e balzelli e con all'orizzonte sempre più nuvole sul proprio futuro.

Nel paese aumenta il disinteresse, cresce l’astensionismo e si rafforza un sentimento generale di rifiuto in blocco dei partiti e della politica. Ma è un fenomeno, per quanto comprensibile, assolutamente pericoloso.
Possiamo capirne le cause ma, nonostante la politica sia oggettivamente sempre più lontana dalla gente, non possiamo permetterci che la gente sia allontani dalla politica.

Abbiamo bisogno della Politica.

E ne abbiamo davvero bisogno perché proprio la Politica è il luogo in cui si decide il futuro dei nostri figli. Che scuola e che educazione avranno, quale ambiente e salute, che lavori e che possibilità, quali problemi dovranno affrontare e che strumenti avranno a disposizione, che cosa ne sarà del nostro Paese tra 10, 15, 20 o 30 anni ? Quando la nostra generazione sarà a godersi, forse, il meritato riposo e loro saranno a lottare per un proprio spazio e per realizzare i propri sogni.

Queste scelte non possiamo e non dobbiamo delegarle a nessuno. Non possiamo non esserne partecipi. E nemmeno possiamo voltarci dall’altra parte.

Siamo forse stanchi dei partiti ma la Democrazia vive, purtroppo, per mezzo dei partiti, E’ la migliore forma di rappresentanza strutturata che conosciamo.

E’ normale, e sarebbe ingenuo negarlo, che nei partiti, come in qualsiasi altra organizzazione umana, spesso possano prevalere le esigenze di autoconservazione e quindi di salvaguardia di strutture, posti ed insomma “posizioni”.
Un diffuso e molto negativo pragmatismo politico (e partitico) vede in quelle “posizioni” le linee di trincea dalle quali lanciare la prossima campagna. E poiché non si abbandona mai una linea fortificata nel mezzo della battaglia, così non si abbandona un assessorato, il posto in una Asl o nel cdA di una partecipata. Anche a Sinistra ed anche trai partiti minori sì è fatto in fretta ad imparare ed interiorizzare le cattive abitudini. E’ così che la Politica diventa un mestiere ed è così che i mestieranti con il tempo diventano Casta.

Esiste tuttavia un modo per evitare la deriva della politica e dei partiti e non è affatto il disinteresse. Piuttosto dobbiamo sforzarci di esercitare il nostro dovere di sorveglianza.
Non si firmano assegni in bianco. Il nostro deve essere un voto attento e consapevole. Dobbiamo sforzarci di ascoltare e aver voglia di capire. E dobbiamo riconoscere e premiare i fatti concreti.

E’ così che opera la Democrazia. E’ un sistema che funziona in tanti paesi ed ha funzionato anche in Italia. Non possiamo cedere alla tentazione di abbandonarlo.

Noi cittadini possiamo avere un ruolo se e solo se ci interessiamo, ascoltiamo, confrontiamo, giudichiamo, premiamo e poi anche puniamo.
Disinteressarsi o anche votare per inerzia, significa abbassare le difese e delegare il futuro del nostro paese ad altri. E non è esattamente quello che vogliamo.

domenica 24 luglio 2011

"Il mistero del Capitale"

In una vera prospettiva di Sinistra sarebbe assolutamente sbagliato pensare al “mondo” solo per capire dove risiedono minacce e pericoli per le nostre società. In una prospettiva di Sinistra bisogna essere sempre consapevoli che solo una minoranza della popolazione mondiale condivide con noi il nostro livello di benessere e i nostri sistemi di tutela. Il resto si arrangia, sopravvive, giorno per giorno e vive in una condizione di povertà ed assoluta incertezza sul futuro. Un lavoro oggi, domani chissà; qualcosa da mangiare oggi, domani chissà; Una buona salute oggi, domani chissà.

Il dramma della fame attanaglia ancora oggi poco meno di un quinto della popolazione mondiale: una persona ogni cinque !!! Eppure oggi nel mondo non manca cibo e se c’è fame è perché manca “potere d’acquisto”, la possibilità di comprarlo quel cibo. Gli aiuti umanitari sono assolutamente necessari, semplicemente perché non si può lasciare morire di fame uomini, donne, bambini, anziani e girarsi dall’altra parte. Sono anche dannosi nel lungo periodo, e dobbiamo pur esserne consapevoli. Paradossalmente proteggiamo i nostri mercati liberandoci di eccedenze che svendiamo nel terzo mondo e così facendo uccidiamo le produzioni di quei paesi. Per questo l’Occidente deve aiutare ma deve anche promuovere azioni di sviluppo economico che devono essere necessariamente locali.
Prima di pensare ad esportare e calare dall’alto i nostri sistemi e le istituzioni politiche è assolutamente necessario aiutare quei paesi a sviluppare economie di mercato diffuse, assolutamente “emerse” e legali.
Diffuse perché fino ad oggi la forma di capitalismo che si è voluto privilegiare nei paesi del terzo mondo è stata quella “cronycapitalistica”, elitaria e funzionale agli interessi dell’Occidente. Un capitalismo dei privilegi, finanziato dalla Banca Mondiale e dalle altre grandi istituzioni finanziarie globali, in cui ristrette borghesie, educate nelle migliori università dell’Occidente, dirigono economia e politica locale, garantiscono stabilità e continuità e salvaguardano sui mercati mondiali le risorse naturali. Il resto della popolazione, è soggiogata e nei casi migliori “mantenuta”. Fondamentalmente questo è il modello che è stato applicato quasi sempre in America Latina, dove sono minoranze bianche a controllare le economie e le finanze delle nazioni, e nel Sud Est Asiatico, dove invece sono le minoranze cinesi a condurre il gioco.  Ovviamente è difficile e complicato che un simile assetto socio-economico possa permettersi una Democrazia compiuta e in gran parte dei tentativi fatti si è alla fine scivolati, tragicamente o in sordina, a destra o a sinistra, in forme di governo autoritarie ed illiberali. Il Cile di Pinochet e tante altre dittature militari ne sono angosciosi esempi ma anche il Venezuela di Chavez non rappresenta affatto una eccezione alla regola. In entrambi i casi, sia quando le dittature militari abbiano sospeso la democrazia a difesa delle oligarchie economiche che quando abbiano espropriato e nazionalizzato, non si è comunque ottenuto vero sviluppo e vera emancipazione delle masse.
Democrazia e Stato di Diritto debbono essere accompagnati da serie riforme che stimolino una economia di mercato diffusa e legale. Solo in questo caso la vivacità imprenditoriale delle masse può sostenere lo sviluppo e garantire agli stati nazionali quelle risorse necessarie per attuare opportune ed oculate politiche assistenzialistiche sulle categorie meno protette. In assenza di “micro-ricchezza” diffusa non può esistere alcun meccanismo redistributivo che tenga. A meno che non si abbia la fortuna di sedere su un gigantesco serbatoio di petrolio.
Mi sembra che quello del Brasile di Lula da Silva sia uno dei pochi esempi di “ricetta” che funziona, pratica, sostenibile e che concede davvero poco spazio alla demagogia. 

Come ha saputo molto bene spiegare l’economista peruviano Hernando De Soto nel suo libro “Il Mistero del capitale” nei paesi del terzo mondo esistono economie sommerse e parallele ma non esistono le condizioni giuridiche per farle esplodere.
Dovremmo aver imparato che il Mercato non è condizione sufficiente per sviluppo e benessere; funziona bene solo in presenza di regole, diritti legali, flussi di informazione ed ovviamente autorità di controllo.
In particolare i diritti legali di proprietà, in quanto “commercializzabili”, aumentano la liquidità, espandono il mercato e sviluppano il ricorso al credito ed all’investimento. Una ricchezza che non è giuridicamente riconosciuta non è “liquida”, non può essere scambiata e non può essere ipotecata. E’ lì bloccata, illegale ed “invisibile”. Se il credito da molti è considerato il motore dell’economia, i diritti di proprietà sono lubrificante della migliore qualità.
La tesi di De Soto è che nei paesi del Terzo Mondo c’è un’enorme potenzialità inespressa:  “nel caso dell’Egitto siamo stati in grado di calcolare il valore delle case possedute dagli egiziani poveri. Risulta una ricchezza di 241 miliardi di dollari, 55 volte le dimensioni del totale degli investimenti stranieri in Egitto negli ultimi 200 anni ed incluso il canale di Suez e la diga di Aswan, e circa 30 volte le dimensioni della Borsa del Cairo. […] In generale i poveri, nel corso degli ultimi 40 anni emigrando verso le città hanno ammassato una ricchezza fisica che supera il valore delle borse locali, degli aiuti e degli investimenti stranieri in quei paesi. La domanda è ‘perché non è possibile impiegare questa ricchezza per creare ulteriore prosperità’ e la risposta è che queste cose sono possedute fuori dalla legge e quindi non ci sono chiari diritti di proprietà o documenti che gli consentano di diventare liquidi”
Il Capitalismo, sin dalle origini, è un sistema di rappresentazioni: titoli e banconote, ed oggi anche fondi, derivati e prodotti ancora più complessi. Tutto ciò che non è rappresentato è congelato ed inutilizzabile. Ovviamente è necessaria una infrastruttura legale che impedisca abusi ed appropriazioni indebite ma quando questa diventa troppo pesante finisce per immobilizzare l’economia. De Soto nel “Mistero del Capitale” ricorda e documenta che per ottenere un nuovo diritto di proprietà in Peru occorrono 207 certificati e 21 anni, in Egitto 17 anni e nelle Filippine 24 anni.
In teoria leggi e regole dovrebbero aiutare deboli e poveri. I ricchi e potenti possono anche farne a meno ed “arrangiarsi”. Troppe e complesse norme tuttavia finiscono per agevolare di nuovo i ricchi e i potenti che possono permettersi gli specialisti in grado di guidare la “navigazione”.
Con Amartya Sen dobbiamo concordare che “per chi non possiede capitale (neppure un piccolo appezzamento di terra, in assenza di una riforma agraria) o non ha accesso al microcredito, non potendo fornire la garanzia di beni collaterali, non è facile far mostra di grande iniziativa nell’economia di mercato”. Piuttosto che le grandi riforme di libero mercato su larga scala, privilegiate fino ad oggi dai gruppi di potere locali ed internazionali, dovremmo trasmettere l’urgenza  di una diffusione dal basso di capitalismo e libero mercato. E’ l’unica strada perseguibile per riscattare la moltitudine di diseredati del mondo.

Quanto è difficile il cambiamento nella continuità è dimostrato dal Sud-Africa, un paese che sta ancora tentando faticosamente di chiudere una pagina nera della sua storia e che, raggiunta la Democrazia, prova a ridistribuire reddito nel rispetto del mercato, trattenendo ricchezza, competenze ed intelligenze “bianche” ed anzi cercando di attrarre capitali internazionali per finanziare lo sviluppo. Sull’esperimento Sud-africano la testimonianza più efficace e obiettiva è un documentario di qualche anno fa del mio giornalista preferito, l’australiano John Pilger: ”Apartheid did not die”. Non è solo interessante ascoltare Nelson Mandela che, incalzato come solo l’“irriguardoso” Pilger riesce a fare, difende la gradualità necessaria delle riforme. E’ soprattutto bella l’intervista conclusiva a Rose Mkhangeli, membro di una cooperativa indipendente nel settore edilizio. Orgogliosamente presenta il frutto del proprio lavoro, umili case costruite dal nulla ed “imparando” passo dopo passo, ed in conclusione riepiloga: “If they are given the resources, people will do the job”, Quando alla gente vengono date risorse, si producono risultati.