In una vera prospettiva di Sinistra sarebbe assolutamente sbagliato pensare al “mondo” solo per capire dove risiedono minacce e pericoli per le nostre società. In una prospettiva di Sinistra bisogna essere sempre consapevoli che solo una minoranza della popolazione mondiale condivide con noi il nostro livello di benessere e i nostri sistemi di tutela. Il resto si arrangia, sopravvive, giorno per giorno e vive in una condizione di povertà ed assoluta incertezza sul futuro. Un lavoro oggi, domani chissà; qualcosa da mangiare oggi, domani chissà; Una buona salute oggi, domani chissà.
Il dramma della fame attanaglia ancora oggi poco meno di un quinto della popolazione mondiale: una persona ogni cinque !!! Eppure oggi nel mondo non manca cibo e se c’è fame è perché manca “potere d’acquisto”, la possibilità di comprarlo quel cibo. Gli aiuti umanitari sono assolutamente necessari, semplicemente perché non si può lasciare morire di fame uomini, donne, bambini, anziani e girarsi dall’altra parte. Sono anche dannosi nel lungo periodo, e dobbiamo pur esserne consapevoli. Paradossalmente proteggiamo i nostri mercati liberandoci di eccedenze che svendiamo nel terzo mondo e così facendo uccidiamo le produzioni di quei paesi. Per questo l’Occidente deve aiutare ma deve anche promuovere azioni di sviluppo economico che devono essere necessariamente locali.
Prima di pensare ad esportare e calare dall’alto i nostri sistemi e le istituzioni politiche è assolutamente necessario aiutare quei paesi a sviluppare economie di mercato diffuse, assolutamente “emerse” e legali.
Diffuse perché fino ad oggi la forma di capitalismo che si è voluto privilegiare nei paesi del terzo mondo è stata quella “cronycapitalistica”, elitaria e funzionale agli interessi dell’Occidente. Un capitalismo dei privilegi, finanziato dalla Banca Mondiale e dalle altre grandi istituzioni finanziarie globali, in cui ristrette borghesie, educate nelle migliori università dell’Occidente, dirigono economia e politica locale, garantiscono stabilità e continuità e salvaguardano sui mercati mondiali le risorse naturali. Il resto della popolazione, è soggiogata e nei casi migliori “mantenuta”. Fondamentalmente questo è il modello che è stato applicato quasi sempre in America Latina, dove sono minoranze bianche a controllare le economie e le finanze delle nazioni, e nel Sud Est Asiatico, dove invece sono le minoranze cinesi a condurre il gioco. Ovviamente è difficile e complicato che un simile assetto socio-economico possa permettersi una Democrazia compiuta e in gran parte dei tentativi fatti si è alla fine scivolati, tragicamente o in sordina, a destra o a sinistra, in forme di governo autoritarie ed illiberali. Il Cile di Pinochet e tante altre dittature militari ne sono angosciosi esempi ma anche il Venezuela di Chavez non rappresenta affatto una eccezione alla regola. In entrambi i casi, sia quando le dittature militari abbiano sospeso la democrazia a difesa delle oligarchie economiche che quando abbiano espropriato e nazionalizzato, non si è comunque ottenuto vero sviluppo e vera emancipazione delle masse.
Democrazia e Stato di Diritto debbono essere accompagnati da serie riforme che stimolino una economia di mercato diffusa e legale. Solo in questo caso la vivacità imprenditoriale delle masse può sostenere lo sviluppo e garantire agli stati nazionali quelle risorse necessarie per attuare opportune ed oculate politiche assistenzialistiche sulle categorie meno protette. In assenza di “micro-ricchezza” diffusa non può esistere alcun meccanismo redistributivo che tenga. A meno che non si abbia la fortuna di sedere su un gigantesco serbatoio di petrolio.
Mi sembra che quello del Brasile di Lula da Silva sia uno dei pochi esempi di “ricetta” che funziona, pratica, sostenibile e che concede davvero poco spazio alla demagogia.
Come ha saputo molto bene spiegare l’economista peruviano Hernando De Soto nel suo libro “Il Mistero del capitale” nei paesi del terzo mondo esistono economie sommerse e parallele ma non esistono le condizioni giuridiche per farle esplodere.
Dovremmo aver imparato che il Mercato non è condizione sufficiente per sviluppo e benessere; funziona bene solo in presenza di regole, diritti legali, flussi di informazione ed ovviamente autorità di controllo.
In particolare i diritti legali di proprietà, in quanto “commercializzabili”, aumentano la liquidità, espandono il mercato e sviluppano il ricorso al credito ed all’investimento. Una ricchezza che non è giuridicamente riconosciuta non è “liquida”, non può essere scambiata e non può essere ipotecata. E’ lì bloccata, illegale ed “invisibile”. Se il credito da molti è considerato il motore dell’economia, i diritti di proprietà sono lubrificante della migliore qualità.
La tesi di De Soto è che nei paesi del Terzo Mondo c’è un’enorme potenzialità inespressa: “nel caso dell’Egitto siamo stati in grado di calcolare il valore delle case possedute dagli egiziani poveri. Risulta una ricchezza di 241 miliardi di dollari, 55 volte le dimensioni del totale degli investimenti stranieri in Egitto negli ultimi 200 anni ed incluso il canale di Suez e la diga di Aswan, e circa 30 volte le dimensioni della Borsa del Cairo. […] In generale i poveri, nel corso degli ultimi 40 anni emigrando verso le città hanno ammassato una ricchezza fisica che supera il valore delle borse locali, degli aiuti e degli investimenti stranieri in quei paesi. La domanda è ‘perché non è possibile impiegare questa ricchezza per creare ulteriore prosperità’ e la risposta è che queste cose sono possedute fuori dalla legge e quindi non ci sono chiari diritti di proprietà o documenti che gli consentano di diventare liquidi”
Il Capitalismo, sin dalle origini, è un sistema di rappresentazioni: titoli e banconote, ed oggi anche fondi, derivati e prodotti ancora più complessi. Tutto ciò che non è rappresentato è congelato ed inutilizzabile. Ovviamente è necessaria una infrastruttura legale che impedisca abusi ed appropriazioni indebite ma quando questa diventa troppo pesante finisce per immobilizzare l’economia. De Soto nel “Mistero del Capitale” ricorda e documenta che per ottenere un nuovo diritto di proprietà in Peru occorrono 207 certificati e 21 anni, in Egitto 17 anni e nelle Filippine 24 anni.
In teoria leggi e regole dovrebbero aiutare deboli e poveri. I ricchi e potenti possono anche farne a meno ed “arrangiarsi”. Troppe e complesse norme tuttavia finiscono per agevolare di nuovo i ricchi e i potenti che possono permettersi gli specialisti in grado di guidare la “navigazione”.
Con Amartya Sen dobbiamo concordare che “per chi non possiede capitale (neppure un piccolo appezzamento di terra, in assenza di una riforma agraria) o non ha accesso al microcredito, non potendo fornire la garanzia di beni collaterali, non è facile far mostra di grande iniziativa nell’economia di mercato”. Piuttosto che le grandi riforme di libero mercato su larga scala, privilegiate fino ad oggi dai gruppi di potere locali ed internazionali, dovremmo trasmettere l’urgenza di una diffusione dal basso di capitalismo e libero mercato. E’ l’unica strada perseguibile per riscattare la moltitudine di diseredati del mondo.
Quanto è difficile il cambiamento nella continuità è dimostrato dal Sud-Africa, un paese che sta ancora tentando faticosamente di chiudere una pagina nera della sua storia e che, raggiunta la Democrazia, prova a ridistribuire reddito nel rispetto del mercato, trattenendo ricchezza, competenze ed intelligenze “bianche” ed anzi cercando di attrarre capitali internazionali per finanziare lo sviluppo. Sull’esperimento Sud-africano la testimonianza più efficace e obiettiva è un documentario di qualche anno fa del mio giornalista preferito, l’australiano John Pilger: ”Apartheid did not die”. Non è solo interessante ascoltare Nelson Mandela che, incalzato come solo l’“irriguardoso” Pilger riesce a fare, difende la gradualità necessaria delle riforme. E’ soprattutto bella l’intervista conclusiva a Rose Mkhangeli, membro di una cooperativa indipendente nel settore edilizio. Orgogliosamente presenta il frutto del proprio lavoro, umili case costruite dal nulla ed “imparando” passo dopo passo, ed in conclusione riepiloga: “If they are given the resources, people will do the job”, Quando alla gente vengono date risorse, si producono risultati.
Mi pare che sulle analisi si stia, seppure molto, troppo, lentamente, avviando una riflessione collettiva in una parte ancora minoritaia della sinistra, ma molto attiva in rete e direi fortunatamente molto giovane, che comincia a comprendere il disastro "capitalistico" che si annuncia. Non v'é ancora però la consapevolezza di massa e quindi non c'é coscienza dei rischi cui si va incontro a continuare ad insistere sulla logica, peraltro illusoria, della crescita infinita. Esiste cioé un problema di inadeguatezza delle classi dirigenti di tutto il pianeta ed in particolare di quelle occidentali, che non lascia presagire tempi buoni. Occorre dare una sponda politica unitaria alla crescente consapevolezza di molta parte del popolo della rete, sapendo che non sarà sufficiente, ma condizione necessaria per creare coscienza di "classe" ( ? si sarebbe detto così nel secolo scorso, ma direi che il concetto può non essere così obosleto come si potrebbe pensare !! ). Occorre quindi costruire una nuova e più adeguata classe dirigente, cosciente delle sue potenzialità e disposta a mettersi in gioco senza perdere tempo, in forme unitarie il più possibile, ma capaci di comprendere e governare le diversità, le differenze. Insomma serve una nuova idea di sviluppo , non più basato sulla crescita ma sulla decrescita orientata, dei consumi inutili sorpattutto in una parte del mondo, l'occidente, ma consapevole che anche ai paesi emergenti non si possa meccanicamente ed illusoriamente fornire un modello insano come quello del neoliberismo capitalistico e della prevalenza dell'economia sulla politica. Insomma occorre creare le condizioni politiche affinché ci si liberi al più presto di chi oggi govrena, anzi "comanda" il pianeta. A noi la nostra parte in questa Italia governata da una classe dirigente cialtrona e strutturalmente mafiosa.
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