sabato 5 marzo 2011

Perchè ho fiducia in Bersani, anche quando parla di Federalismo.

Quando si analizzano i sondaggi elettorali sentiamo sempre parlare degli “indecisi”, quelli che scelgono solo all’ultimo momento e spesso addirittura decidono il risultato.
Ebbene, io non sono tra questi ed il mio comportamento elettorale è da sempre piuttosto noioso e monotono. La prima volta - avevo appena compiuto diciotto anni - votai per il PCI ed in seguito, senza soluzione di continuità, per il PDS, i DS ed infine per il PD.
E se domani mattina ci fossero nuove elezioni ? Beh, voterei ancora per il PD ma stavolta con molta meno convinzione e forse solo per la mancanza di valide alternative.
In Vendola oltre la dialettica non riesco a trovare solidi elementi di concretezza, il populismo di Di Pietro è vuoto di contenuti e pericoloso, il settarismo di Grillo è addirittura peggio ed il movimentismo spontaneo viola è ammirevole ma assolutamente inefficace.

Debbo però ammettere che ultimamente mi è risultato sempre più difficile capire questo Partito. Non tanto per la sciagurata gestione amministrativa locale a cui mi è toccato assistere nella mia piccola Bussero quanto proprio per le vicende nazionali: il proliferare di personalismi e fazioni, le indecisioni e gli equilibrismi; insomma, tante debolezze ed attendismi che, come qualcuno con estremo cinismo ha osservato, lo hanno trasformato in  un Partito “kebab”, attaccato e tagliuzzato da destra, da sinistra, da sopra e da sotto.

Ma a partire dall’assemblea nazionale di inizio Febbraio qualcosa è finalmente cambiato nello stile di leadership e nella chiarezza dei programmi. Un partito che si candida a governare un paese che versa in una terribile crisi economica, sociale e morale non può rimanere ostaggio delle sue fazioni. Deve parlare con coraggio e chiarezza di riforme, di scelte e di cose da fare, senza più paura di veti interni e con tanta voglia di ricostruire consenso all’esterno.

E tra le tante cose da fare c’è anche il Federalismo. E proprio in occasione di quell’assemblea ha fatto scalpore un appello a sorpresa di Bersani alla Lega: “con Berlusconi il federalismo non lo farete mai: a lui non interessa il federalismo, ma i vostri voti, e li userà per il processo breve o per difendere la 'cricca di Roma’". Non solo sui media ma anche all’interno del partito ci fu chi gridò allo scandalo ma il nuovo Bersani sul tema del Federalismo non si è più tirato indietro. A quel primo accenno sono seguiti altri interventi ed addirittura un intervista alla “Padania”, quasi a dimostrare che il tema è ormai stabilmente nell’agenda del Partito.

Nella nuova strategia di Bersani mi sembra di leggere finalmente la consapevolezza della ormai evidente improrogabilità di un riassetto federale del nostro paese. Assolutamente  necessario, se vogliamo introdurre elementi di efficienza, di responsabile amministrazione e controllo locale nei meccanismi della Spesa Pubblica, da sempre storicamente inclini allo spreco, ma anche assolutamente urgente se vogliamo intervenire prima che il divario tra Nord e Sud assuma dimensioni non più tollerabili nel mutato scenario della Globalizzazione Mondiale.

Mi sembra anche di intravedere un efficace messaggio diretto a quei tanti elettori della Lega che si sono rivolti ad essa principalmente perché in preda a sfiducia e sconforto verso  i partiti tradizionali. Tanti di quegli elettori erano (e sono ancora) elettori di sinistra: operai, impiegati, pensionati, giovani disoccupati e precari che abbiamo perso per strada.
Parlare a questi cittadini significa spiegare, "parlando diritto", che se di Federalismo c'è tanto bisogno quella che sta venendo fuori, frutto di fretta e compromessi, è un cattiva riforma che non risolve affatto i problemi, non introduce equità ed efficienza e rischia addirittura di aumentare la pressione fiscale.

Ovviamente occorre ammettere che c’è anche - ma non solo - il tentativo di incunearsi tra le contraddizioni del Berlusconismo, in bilico tra spinte della Lega e resistenze dei tanti Micciche’, e quindi far leva sul Federalismo per colpire Berlusconi ed aprire una nuova stagione politica. Ed in tanti, anche a Sinistra, non hanno lesinato critiche.
Ma anche su quest’ultimo punto non vedo affatto scandali. In queste ultime settimane le piazze italiane sono state una splendida espressione di un paese che vuole cambiare; sono stati raccolti milioni di firme ma purtroppo Berlusconi è ancora lì; abbiamo sperato in una spallata mediatica che non è arrivata. Nella delusione dobbiamo riconoscere che in una moderna Democrazia è assolutamente legittimo, anche se inopportuno, che Berlusconi voglia rimanere al suo posto.
E personalmente debbo ammettere che, piuttosto che dalla piazza o dai magistrati, mi piacerebbe molto di più un Berlusconi sfiduciato in Parlamento e poi subito nuove elezioni.
Sarebbe davvero la più bella conferma che l’Italia è ancora un grande paese democratico.

Ansia da immigrazione

In Italia la percezione generale sulla quale si alimenta la propaganda delle varie Destre è che stiamo vivendo una vera e propria emergenza sicurezza la cui causa principale è l’immigrazione. Non ci preoccupiamo più di tanto dell’invasione, spesso attraverso mezzi leciti e legali, delle mafie nel tessuto economico delle regioni del Nord; non ci preoccupiamo di chi corrompendo e facendosi corrompere sottrae ogni anno un vero e proprio patrimonio alla collettività; non ci preoccupiamo della diffusione sempre più tollerata ed accettata della cocaina tra i comportamenti di trentenni e quarantenni “ordinari”; non ci preoccupiamo dell’uso sempre più ampio di superalcolici da parte di giovani e giovanissimi e del ritorno di fiamma del tabacco; e non ci preoccupiamo nemmeno delle sofisticazioni alimentari che ci portano patologie sempre più gravi ed insidiose. Abbiamo invece paura dei clandestini, degli immigrati marocchini, albanesi e rumeni. Per colpa loro ci sentiamo in pericolo nelle nostre case. Abbiamo paura.

Ebbene, poichè è sempre utile quantificare proviamo a dare una dimensione alla presenza di stranieri in Italia ed al loro presunto "danno collaterale” ?
Innanzitutto secondo l’Istat al 1 gennaio 2009 gli immigrati regolari in Italia erano 4.4 milioni ai quali si stimava di dover aggiungere 420 mila irregolari (secondo l’OCSE i clandestini sono ancora di più e possono anche raggiungere le 700 mila unità). Sono avviati a raggiungere il 10 per cento della popolazione. E se quasi un abitante del nostro paese su dieci non è più italiano mi sia concesso di sottolineare che tanto cattivi questi extra-comunitari non debbono essere. Altrimenti, piuttosto che essere preoccupati e sentirci minacciati, ci sarebbe davvero da impazzire !!
Inoltre: un quarto di essi è di religione cattolica ed oltre la metà sono cristiani (Rapporto Ismu 2009); un buon 72 per cento lavora come personale non qualificato, conduttore di impianti, artigiano, agricoltore e operaio specializzato (Istat, Rilevazione sulle forze di lavoro, I trimestre 2008) e quindi in attività che generalmente gli italiani tendono sempre meno a voler fare; la quasi totalità degli immigrati adulti con regolare permesso di soggiorno è iscritto all’Inps, versa regolamente i contributi e paga un pezzo di pensione dei nostri genitori.

Non dobbiamo trascurare un problema di criminalità legato all’immigrazione ma occore analizzare bene i dati prima di poter esprimere compiute conclusioni politiche.
Un contributo molto serio è rappresentato dal Dossier Caritas/Migrantes dell’ Ottobre 2009, sviluppato a partire dai dati ufficiali Istat sul quinquennio 2001-2005. E’ interessante notare che nel 2005 rispetto al numero complessivo di denunce (2.579.124) meno di un quarto è contro un autore noto (550.590) e di quest’ultime l’incidenza degli stranieri è del 23,8 per cento. Questo è sicuramente un dato di quelli che fanno discutere e creano allarme: con una incidenza degli immigrati regolari sulla popolazione totale che nel 2005 era stimata tra il 4,4 per cento (con permesso di soggiorno) ed il 5,1 per cento (inclusi quelli in attesa di regolarizzazione), un peso così ampio delle denunce verso cittadini stranieri è assolutamente inquietante. I dati sono tuttavia riferiti a basi di calcolo disomogenee e stiamo infatti mischiando, come suol dirsi, mele con pere. Se consideriamo le sole denunce verso gli immigrati con regolare permesso di soggiorno (37.702 rispetto al totale di 130.458) otteniamo un tasso di criminalità, rispetto alle relative popolazioni complessive, per gli italiani dello 0,75 per cento e per gli stranieri regolarizzati e regolarizzandi del 1,24 per cento. Una differenza molto meno rilevante che scompare del tutto se si rapportano i dati alle rispettive distribuzioni anagrafiche delle popolazioni di riferimento e se filtriamo quei reati strettamente legati alle norme sull’immigrazione. A parità di distribuzione anagrafica avremmo un tasso di criminalità dell’ 1,02 per cento degli italiani e dell’ 1.03 per cento degli stranieri regolarizzati e regolarizzandi. 

Emerge quindi, in tutta la sua drammaticità, il problema degli stranieri non regolarizzati e della clandestinità. Non solo abbiamo effettivamente un’incidenza alta di denunce e reati ma ovviamente sono proprio gli irregolari le principali vittime dello sfruttamento e del lavoro nero.
E’ assolutamente necessario individuare formule efficaci di lotta alla clandestinità. Formule che prevedano anche l’espulsione, ove necessario, ma anche dure pene per coloro che, soprattutto italiani, favoriscono l’immigrazione clandestina e traggono da essa beneneficio. Assolutamente inutile, se non controproducente, è chiedere ai medici del Pronto Soccorso di denunciare i clandestini. Assolutamente fuorviante concentrare l’attenzione sui barconi di disperati se pensiamo che il 64 per cento degli immigrati clandestini arriva con un visto o un permesso che poi scade, il 23 per cento attraversa le frontiere senza autorizzazioni e solo il 13 per cento sbarca sulle coste (dati del Ministero degli Interni 2006). Di questi ultimi oltre la metà sono richiedenti asilo o meritevoli di protezione umanitaria.