E’ una notte di Novembre solo in apparenza come tante altre. Mi sveglio all’alba. Ho atteso questo momento per mesi, forse venti lunghi anni o addirittura una vita intera. Accendo la televisione e mi ritrovo a saltare da un canale all’altro. Mi ero addormentato con una speranza e mi sono risvegliato con una certezza: Barack Obama è il nuovo presidente degli Stati Uniti.
In solitudine e nell’oscurità mi commuovo e sento di non essere l’unico. Insieme a migliaia di persone nel mondo aspetto che arrivi lui, questo giovane afroamericano, il figlio di un immigrato arrivato in America dal cuore dell’Africa. In tanti appena un anno fa non conoscevamo ancora questo politico dai toni risoluti e dalla dialettica profetica.
E’ un momento magico e siamo testimoni di un evento storico. Per me è il risveglio da un lungo letargo perché ho da rendere una confessione. Sono un ex-comunista. Ho quaranta anni ed ho smesso di fare politica tanti anni fa in un'altra notte di Novembre. Ho continuato a interessarmene, a votare per il mio partito che cambiava un nome ogni cinque anni, a seguire i dibattiti e qualche manifestazione. Ho gioito per le vittorie e mi sono arrabbiato per le sconfitte elettorali. Ma senza più passione ed entusiasmo. Ho preferito dedicarmi ai miei studi, più tardi alla famiglia e alla professione. Per tutto questo tempo mi sono portato dentro quell’enorme peso che i falsi ideali ti lasciano addosso quando si scontrano con l’amara realtà del proprio fallimento. Nel corso degli anni spesso ho pensato di aver individuato all’orizzonte un nuovo porto sicuro. Quanti miraggi.
Sul palco finalmente arriva Barack con la sua famiglia. Chicago impazzisce di gioia e l’entusiamo lascia il posto alla curiosità. Mentre ancora s’intrattiene salutando la folla acclamante ci domandiamo cosa dirà adesso. Avrà meditato per mesi pesando ogni singola parola, pausa ed espressione. E di sicuro avrà immaginato, vissuto e rivissuto, infinite volte questa scena.
Chissà quando ha deciso di candidarsi alla presidenza degli Stati Uniti. Forse durante il famoso discorso alla Convention Democratica del 2004 quando fu invitato, senatore nero dell’Illinois, a pronunciarsi per John Kerry. Chissà quando ha capito che poteva farcela. Anzi che ce l’avrebbe fatta.
“Se là fuori c’è qualcuno che ancora dubita che l’America sia un luogo dove tutto è possibile, che si domanda se il sogno dei padri fondatori sia ancora vivo ai giorni nostri, che ancora mette in dubbio la forza della nostra democrazia, stanotte è la vostra risposta”. Ascoltando le parole del presidente eletto mi rendo conto che sintetizzano esattamente quel vortice incontrollato di pensieri e di emozioni che travolge e confonde la mia mente. Questa non è solo la notte di Obama. E’ una festa della Democrazia.
Mentre Obama continua il suo discorso ringraziando chi gli è stato vicino e complimentandosi con gli sconfitti mi rendo conto che enormi saranno le aspettative di chi lo ha sostenuto e di chi lo ha votato. Ed anche di chi, come me, in fondo è solo spettatore. Troverà da subito tanti drammatici problemi sulla sua scrivania, molti in più dei suoi recenti predecessori. Innanzitutto la necessità di uscire con onore da una brutta guerra, poi le tante crisi e tensioni geopolitiche e militari ai quattro angoli del mondo ed infine la difficile gestione delle drammatiche conseguenze economiche e sociali del crash finanziario e della conseguente recessione. Da abile politico ed eccezionale oratore inoltre tante sono le promesse che ha fatto fino ad oggi, anche questa notte, e sarà difficile mantenerle tutte. Forse impossibile.
Ma non è questo il punto. Il mio cuore non batte forte perché abbiamo trovato l’uomo della provvidenza, lo stregone che ci libererà da tutti i mali del mondo.
Stasera siamo testimoni di una meravigliosa conferma. Democracy works. La Democrazia funziona. E non si tratta solo di vedere un democratico alla Casa Bianca otto anni dopo strane elezioni che avevano lasciato molto più di qualche dubbio. L’alternanza tra sinistra e destra, rossi e blu, progressisti e conservatori è vitale e salutare a tutti sistemi democratici. Il pendolo della Storia oscilla ed aiuta le nazioni a correggere errori ed esagerazioni. Carter dopo Nixon, l’era di Ronald Reagan e poi quella di Clinton, due mandati per George W. Bush ed adesso un nuovo presidente con una diversa visione del mondo e nuove promesse. Si potrebbe addirittura affermare che in fondo non c’è niente di particolarmente unico in questa notte di Novembre e magari anche ritornare a letto e recuperare almeno un’oretta di sonno in più.
Ed infatti non è solo questo. Davanti ai nostri occhi c’è la prova che in Democrazia, quando le masse si mettono in moto, una nazione si riappropria della forza di rigenerarsi e soprattutto della volontà e capacità di pronunciarsi e decidere. Penso all’altissima affluenza alle urne, alle file che ho visto in televisione, alla grande voglia di esprimersi, trasversale a tutte le classi sociali ed etnie. Tanti sono andati a votare per la prima volta consapevoli che in democrazia tutti abbiamo il potere di cambiare le cose. Possiamo farlo. Yes, we can. E’ stato lo slogan di questa lunga corsa elettorale. E stasera a Chicago la folla lo ripete all’infinito. Ancora e poi ancora.
In un paese che si è scoperto improvvisamente più povero, impantanano in due guerre e con un’immagine macchiata da Guantanamo e Abu Graib, la gente comune è sfuggita alla facile tentazione del disfattismo. Ha scelto di partecipare. Ha scelto di scegliere. La CNN salta da un collegamento all’altro e mostra ovunque piazze in festa. Tutto questo è meraviglioso.
E poi è innegabile l’emozione di vedere un presidente nero alla Casa Bianca. Un anno fa pensavo fosse possibile solo nei film. Invece questa sera sta accadendo. Al moto oscillatorio del pendolo dell’alternanza politica si sovrappone un moto lineare di progresso. La Democrazia non è affatto un sistema perfetto ma sicuramente è un sistema perfettibile e che aspira alla perfezione. Mentre Obama prosegue il suo discorso inaugurale, un’immagine è catturata dalle telecamere e su di me ha la forza di un pugno allo stomaco. Tra la folla il reverendo Jesse Jackson è rotto dalla commozione. Nella mia mente è un corto circuito. Quella scena riporta a galla un’altra immagine che è sedimentata nella mia memoria. E’ una foto che ho rivisto tante volte. L’immagine del balcone di un motel di Memphis e di quattro uomini neri. Uno degli uomini era proprio un giovane Jesse Jackson, un altro era Martin Luther King. Quella foto è stata scattata tanti anni fa, il 3 Aprile 1968. Ed il giorno dopo su quello stesso balcone Martin Luther King veniva ucciso.
Io sono nato proprio nel 1968 e ancora in quello stesso anno alle Olimpiadi di Città del Messico i velocisti americani Tommie Smith e John Carlos sul podio dei 200 metri alzavano al cielo un pugno destro guantato in segno di protesta contro il razzismo negli Stati Uniti. Proprio nella stessa nazione che stasera sta festeggiando un presidente nero, figlio di un africano. E tutto nell’arco di una sola generazione.
E’ stato un lungo, difficile e doloroso cammino. Possibile grazie all’impegno civico e al sacrificio personale di tantissimi. Non è stato gratis. Niente affatto.
La strada è ancora lunga e tortuosa ma come ci ricorda ancora una volta la folla di Chicago: “yes, we can”. Insieme, possiamo. Proprio come lo stesso Obama ci ricorda quasi in conclusione del suo discorso raccontandoci l’illuminante vicenda di un’anonima vecchietta di colore di 106 anni, Ann Cooper Smith, “in fila come milioni di altri americani per far sentire la propria voce in questa elezione.
Nata appena una generazione dopo la fine della schiavitù, quando non vi erano auto per le strade ed aerei nei cieli. E quando quelli come lei non potevano votare per due motivi: perché donna e per il colore della sua pelle. [….] E quest’anno, in occasione di queste elezioni ha toccato con un dito uno schermo ed ha espresso il suo voto perché dopo 106 anni, […], lei sa quanto l’America può cambiare: Si, è possibile”
E’ per tutto questo che stanotte mi sento rinato. Perché sono consapevole. Democracy works. E funziona particolarmente bene quando la gente, stanca delle bugie e delle propagande, non vuole più credere alle soluzioni facili o sentirsi dire che tutto va comunque bene; quando è disposta a scegliere e a impegnarsi per un mondo migliore; e quando un leader, sapendo catalizzare questa enorme energia potenziale, è capace di evocare un cammino di Progresso.