Con questo governo le sorprese non finiscono proprio mai ed è stato davvero surreale leggere sui giornali la lettera inviata all’Unione Europea e trovare le norme per il licenziamento facile tra le principali proposte di impulso allo sviluppo.
Aspettiamo di conoscere i dettagli e può essere che per l’ennesima volta la montagna partorirà solo un topolino. Tuttavia in questo momento la sola idea di una “deregulation” del licenziamento fa pensare immediatamente ad effetti e scenari deflazionistici.
Un minimo di logica economica ci induce a pensare che un goveno con il terzo debito del mondo in valore assoluto, un deficit corrente preoccupante e con evidenti difficoltà a rifinanziare il proprio debito, avrebbe serie complicazioni a gestire strumenti efficaci di sussidio, protezione e sostegno dei lavoratori che perderebbero il lavoro.
Può darsi che Berlusconi, sempre più lontano dal mondo reale, si aspetti che quei lavoratori senza più un lavoro avranno più tempo libero per andare in giro, spenderanno di più e rilanceranno così i consumi e la dinamica economica. E’ una ricetta davvero inusuale quella di curare un’economia in crisi soffocando ulteriormente la domanda.
Non possiamo negare che più facili licenziamenti spesso possono salvare attività in sofferenza. Così come possono effettivamente rappresentare un buon incentivo alle assunzioni. Ma senza una vera politica di sviluppo che affronti finalmente ed in modo serio i temi della formazione, delle nuove tecnologie, delle semplificazioni amministrative e dell’accesso al credito delle piccole e medie aziende non si creeranno automaticamente nuovi posti di lavoro. Non si può metter il carro davanti ai buoi e pensare di andare lontano.
In Italia c’è ovviamente bisogno di una nuova regolamentazione del mercato del lavoro. Nel mondo globalizzato, piatto ed ultraveloce del XXI secolo il mito del posto fisso per tutta la vita non è più sostenibile. Abbiamo bisogno di flessibilità ed abbiamo bisogno di riequilibrare l’enorme ingiustizia tra lavoratori precari, soprattutto giovani, e i più fortunati lavoratori a tempo indeterminato, spesso i loro padri. Occorre però farlo in maniera strutturata, concertata ed all’interno di un sistema forte di tutele e garanzie. Inoltre dobbiamo farlo agendo contemporaneamente sulle leve dello sviluppo; dell’efficienza della spesa pubblica e dei costi della politica; della scuola, dell’università e della ricerca; delle infrastrutture fisiche e informatiche; degli incentivi agli investimenti produttivi e dei disincentivi alla rendita ed alla speculazione edilizia e finanziaria; degli incentivi alle energie rinnovabili ed al risparmio energetico.
Solo un governicchio alla frutta può pensare di risolvere i problemi dell’Italia con licenziamenti più facili. Anche per questo, oggi ancora più di ieri, dobbiamo sperare e fare tutto il possibile affinché questa triste e ormai pericolosa pagina della storia del nostro paese si chiuda presto.
. “E' incredibile che in un tornante storico segnato da una pesante caduta della domanda aggregata, da una capacità produttiva inutilizzata pari a circa il 50% e da una drammatica emorragia di lavoro per padri e figli si insista, in nome di un'ideologia fallita e di interessi materiali miopi, sulla ulteriore facilitazione dei licenziamenti come via per la crescita. L'effetto reale che si avrebbe sarebbe un’ulteriore precarizzazione del lavoro, l’ulteriore indebolimento delle organizzazioni sindacali e del potere negoziale dei lavoratori, l’ulteriore compressione delle retribuzioni, l’ulteriore aumento delle disuguaglianze di reddito, ricchezza e opportunità e l’ulteriore recessione e aumento del debito pubblico."
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