Sempre più spesso, forse condizionati dai colossal hollywoodiani, quando immaginiamo il futuro del nostro pianeta, lo pensiamo in termini catastrofici: terremoti, inondazioni, glaciazioni e sempre pochi e coraggiosi sopravvissuti. Nell’immaginario collettivo il mondo di Terminator sembra aver soppiantato Star Trek e per avvalorare le nostre paure andiamo a recuperare conferme scientifiche nelle grandi estinzioni e catastrofi della Storia umana, naturale e geologica.
Ma il nostro futuro non è affatto già scritto ed anzi è tutto ancora da realizzare. Può essere tante cose diverse, belle quanto brutte. Può essere ricco di nuove scoperte scientifiche che, oltre ad avvicinarci ad una sempre più precisa conoscenza delle leggi che regolano il nostro universo, contribuiranno ad allungare e migliorare le nostre esistenze. Potrà consentirci di viaggiare nello spazio e magari in un futuro molto molto lontano popolare nuovi pianeti, sviluppare e diffondere altrove nell'universo la nostra civiltà. Tuttavia potrebbe anche essere un futuro di conflitti, sovrapopolamento, guerre per il controllo di risorse sempre più scarse e perdita di biodiversità. Banalmente dipende soltanto da noi, dalle nostre scelte e dalle nostre priorità.
L’“ottimismo della volontà” mi impone di trascurare le ambientazioni apocalittiche. Tuttavia qualunque scenario di progresso e sviluppo mi sforzi di considerare, è plausibile solo se fondato su un imprescindibile vincolo di sostenibilità. Ricerchiamo un livello di benessere sempre maggiore, qualità della vita sempre migliore e vogliamo soddisfare bisogni sempre nuovi e più vari ma, al di là della opportunità intellettuale e morale di una frustrante rincorsa all’infinito, l’unico tipo possibile di crescita indefinita è quella sostenibile, e cioè attenta ai vincoli ed alle limitazioni poste dal contesto. E’ purtroppo il secondo principio della Termodinamica ad imporcelo.
Rappresentiamo senza ombra di dubbio un successo ecologico nell’evoluzione delle forme viventi. Siamo tra le pochissime specie ad aver colonizzato gli habitat più diversi ed estremi del nostro pianeta, dal deserto alla tundra, dalle steppe alle paludi, dal deserto ai circoli polari, abbiamo superato di numero i sei miliardi e tutti insieme rappresentiamo oltre 300 milioni di tonellate di biomassa. Le uniche specie che con noi possono rivaleggiare sono quelle che abbiamo addomesticato: bovini, ovini, suini e polli.
Rappresentiamo senza ombra di dubbio un successo ecologico nell’evoluzione delle forme viventi. Siamo tra le pochissime specie ad aver colonizzato gli habitat più diversi ed estremi del nostro pianeta, dal deserto alla tundra, dalle steppe alle paludi, dal deserto ai circoli polari, abbiamo superato di numero i sei miliardi e tutti insieme rappresentiamo oltre 300 milioni di tonellate di biomassa. Le uniche specie che con noi possono rivaleggiare sono quelle che abbiamo addomesticato: bovini, ovini, suini e polli.
Si può continuare a crescere ma solo salvaguardando gli equilibri naturali e ricercando impieghi sempre più efficienti delle risorse.
Non possiamo dare per scontata la nostra sopravvivenza ed esiste un famoso e clamoroso “esperimento in provetta” a ricordarcelo: l’isola di Pasqua, originariamente un verdeggiante paradiso nel Pacifico ed emblematico esempio di sistema chiuso ed isolato in cui l’impatto dell’uomo ha prodotto una totale distruzione dell’ecosistema e senza neanche l’aiuto di automobili, fabbriche e tutte le altre micidiali “armi” della civiltà moderna. Già prima dell'arrivo dell'uomo bianco, un’irrazionale competizione tra clan causò nel giro di poche generazioni una deforestazione totale dell’isola; la successiva erosione del suolo accompagnata ad un aumento dei livelli di salinità ha impoverì la resa agricola e infine si esaurì il ricco patrimonio ittico, ultima risorsa alimentare. In pratica una civiltà prospera e potente, che aveva convissuto per secoli nel proprio ricco e familiare “habitat”, finì per collassare in uno stato di minima sussistenza.
E’ il caso più emblematico ma l’antropologo Jared Diamond nel suo libro “Collapse” ci porta altri esempi istruttivi, dagli indios Anazasi alle città-stato Maya passando per le colonie vichinghe in Groenlandia.
La terra non deve ridursi ad una enorme isola di Pasqua e per questo è necessario superare l’apparente antitesi tra Economia e Natura, tra una economia che ricerca la crescita e lo sviluppo in quanto antidoti di recessione, depressione, disoccupazione e impoverimento ed una natura, ricca e prosperosa ma finita e tremendamente complessa e delicata.